Si forma un bel panetto e lascia riposare una mezz’ora, coperto da un panno di cotone o di lino. Poi si stende con il mattarello per ottenere una sfoglia un po’ spessa, e si taglia orizzontalmente in fasce alte una decina di centimetri. Si sovrappongono, si tagliano a striscioline e si mettono nelle “scife”, il tipico piatto di legno usato anche per servire la polenta. In alternativa usate un tagliere, sempre di legno perché assorbe l’umidità in eccesso.
Si cuociono in abbondante acqua bollente salata. Anche questo è un passaggio veloce, perché si scolano, non appena affiorano, usando il colino a ragno, come si fa per gli gnocchi.
Nella ricetta originale, si condiscono con il
sugo a “ju pistacchiu”.
Un battuto a coltello (o nel mortaio) di
aglio, peperoncino e alici.
Si fa scaldare
l'olio extravergine di oliva che qui nella
Valle del Giovenzano è ottimo, di
Rosciola e Leccino. Si fa imbiondire “ju pistacchiu” e si aggiunge il
pomodoro. Si cuoce poco, 10–15 minuti ed è pronto. Il tocco finale è una bella spolverata di
pecorino grattugiato.
Oggi le pizzarelle sono riproposte nei
ristoranti anche in bianco, con i
porcini, e talvolta con il
tartufo dei nostri boschi, ma la
ricetta originale è entrata a far parte dei
Prodotti Agroalimentari Tradizionali del Lazio (PAT).
Un piatto che, insieme alla
Festa della Gatta, racconta
Cerreto Laziale in tutte le sue sfumature e, dal 1978, si festeggia con la famosa
Sagra delle Pizzarelle.